SSR: non sono più ammessi errori – Intervista a M. Candinas
Martin Candinas, grigionese, 42 anni, è consigliere nazionale eletto nel Gruppo del centro / Alleanza del centro. Nel 2018 è stato in prima fila contro l’iniziativa “No Billag”. È tutt’oggi uno dei principali difensori del servizio pubblico radiotelevisivo. Lo abbiamo intervistato per fare il punto sul lancio della nuova iniziativa della destra “200 franchi bastano” ma anche per discutere il delicato momento che sta vivendo la SSR.

Martin Candinas
D: Signor Candinas, iniziamo dagli ultimi fatti che hanno visto protagonista la SSR. Ha seguito la vicenda dei diritti televisivi dell’hockey nazionale? Cosa ne pensa di tutta questa storia?
R: Va chiarito che già prima della recente trattativa la SSR non deteneva più i diritti esclusivi sul campionato nazionale di hockey. Da ciò che ho capito, durante la tornata negoziale con la National League per l’assegnazione dei diritti per i prossimi 5 anni, la SSR avrebbe fatto una buona offerta. Purtroppo, i concorrenti hanno offerto di più. Per cui, quando si dice che la SSR può fare ciò che vuole non è più vero. Questa storia dimostra che anche i privati, oggi, possono competere con ottimi argomenti e occupare anche gli spazi che fino a pochi anni fa erano appannaggio esclusivo della SSR.
D: È la concorrenza, insomma?
R: Oggi, radio, televisione, internet non sono più territori riservati alla sola SSR. Anche i privati si muovono su questo mercato, compreso quello televisivo. Il settore della multimedialità anche da noi è diventato molto competitivo e la SSR non dispone più di mezzi illimitati.
D: Tutti sono sullo stesso mercato e tutti cercano di accaparrarsi i prodotti più interessanti…
R: Infatti, ma ciò era chiaro da tempo. La SSR non può pretendere di accaparrarsi solo i programmi di grande richiamo pagandoli sempre di più. Non sarebbe corretto. La Radiotelevisione svizzera, proprio perché è un servizio pubblico, deve preoccuparsi di accontentare un vasto pubblico interessato alle manifestazioni sportive di punta, come in questo caso, ma anche agli sport minori così come a tutte le specificità sociali, linguistiche e culturali che contraddistinguono il nostro paese. Proprio per tutto ciò la SSR ha diritto a percepire il canone.
Il servizio pubblico deve accontentare tutti
D: Per cui si può dire che la forza della SSR risiede proprio in questo: garantire un’offerta variata, a tutto campo, che gli altri non possono offrire?
R: Esatto, questo è il compito del servizio pubblico. Invece, il discorso è diverso per gli operatori privati i quali evidentemente puntano prevalentemente sui programmi che fanno ascolti e che possono garantire un successo commerciale.
Perdere l’hockey può rivelarsi un problema
D: Detto questo c’è comunque da chiedersi quali potrebbero essere gli effetti sulla SSR se sarà veramente costretta a rinunciare ai diritti sull’hockey nazionale. Nel 2025, probabilmente, si voterà su una nuova iniziativa volta a dimezzare il canone: “200 franchi bastano”. Non avere più l’hockey in palinsesto potrebbe pesare sul voto?
R: Sicuramente! Ciò potrebbe avere una grande influenza sul voto. D’altra parte, come detto, la SSR non può più permettersi di avere tutto, con il rischio, di entrare in una spirale senza fine. Vediamo come, soprattutto, nelle discipline sportive di grande richiamo, i diritti sono sempre più onerosi. È stato il caso della Champions League, del calcio nazionale, ora potrebbe essere la volta dell’hockey. Addirittura, in futuro, potrebbero essere messi in discussione anche i diritti sullo sci o su altri sport. Insomma, bisogna essere realisti, se i soldi sono sempre meno bisogna fare delle scelte, scelte che saranno sempre più dure, e non solo nello sport, tantopiù se nel 2025 l’iniziativa “200 franchi bastano” dovesse essere accolta dal popolo.
D: Alcuni quotidiani nazionali si sono interrogati sulla qualità della delegazione che la SSR ha inviato alle trattative per ottenere i diritti dell’hockey. Addirittura, si è speculato sul fatto che le persone delegate al compito non fossero all’altezza. Ne sa qualcosa?
R: Non ho idea se si trattassero delle persone giuste da mandare a queste trattative, non ero presente, per cui non mi posso esprimere. È chiaro che è compito della Direzione generale inviare a delle discussioni tanto delicate persone in grado di farsi valere. Se questo non è stato il caso allora la SSR ha veramente un grande problema.
Un’iniziativa molto temibile
D: Secondo lei la nuova iniziativa, promossa da ambienti vicini all’UDC e al Partito liberale, è veramente così insidiosa per la SSR?
R: Sì, questa iniziativa è pericolosa. La SSR, può cavarsela unicamente se non continuerà a fare errori. Ultimamente, abbiamo visto troppi sbagli da parte dei vertici dell’azienda e del consiglio di amministrazione: lo scivolone sulla questione dei salari variabili dei quadri, ad esempio, tradiscono una certa confusione, una certa debolezza da parte della leadership SSR. L’azienda ha bisogno di essere condotta in modo chiaro, trasparente. Ne va della sua credibilità anche verso il pubblico che sarà chiamato a votare.
D: Ma questa iniziativa dovevamo aspettarcela?
R: Era chiaro che prima o poi sarebbe arrivata. Dopo la bocciatura della “No Billag” nel 2018, era normale che i partiti anti SSR ci avrebbero riprovato. Hanno atteso l’esito del recente voto sul finanziamento ai media privati e poi, visto il risultato negativo, sono partiti alla carica. È evidente che molte piccole e media imprese, che operano nei media, sono in sofferenza. Il mercato svizzero è piccolo e senza l’aiuto dello stato è difficile andare avanti. Ma il popolo ha detto di no. Quindi, le responsabilità di questa bocciatura non possono ricadere sulla SSR solo perché dispone della garanzia del canone.
Tuttavia, si potrebbe creare una situazione delicata che sfavorirebbe l’azienda anche in vista del voto del 2025.
D: L’iniziativa “No Billag” è stata votata nel 2018. A quattro anni di distanza ci risiamo. La SSR è inesorabilmente condannata in futuro a doversi confrontare regolarmente a situazioni simili o si potrebbe pensare a un sistema alternativo di finanziamento del canone che ci sottragga agli umori della politica?
R: Guardi, l’unica alternativa possibile sarebbe quella di delegare tutto al Parlamento federale che ogni anno deciderebbe quanto accordare alla SSR in base al budget ordinario della Confederazione. Ciò, però, potrebbe essere ancora più pericoloso proprio perché dipenderebbe dagli umori e dai rapporti di forza dentro l’emiciclo. Io preferisco il sistema attuale che affida la decisione sul canone al popolo, quando viene chiamato ad esprimersi. D’altronde, viviamo in una democrazia diretta. È chiaro che questa continua chiamata alle urne può essere un elemento di pressione per la SSR e per chi ci lavora, ma può anche essere uno stimolo per fare meglio, per inventarsi nuove strategie, per non “sedersi” ma cercare di innovarsi continuamente. Sia ben chiaro, io sono contro l’iniziativa “200 franchi bastano” però cerco di vedere anche il lato positivo. La SSR, per fare bene i suoi compiti, deve sentire un po’ di fiato sul collo.
D: Considerando la grande preoccupazione, io temo che per non indispettire i nostri detrattori, i nostri avversari, la SSR e in particolare l’informazione, cominci ad abbassare i toni, evitando inchieste scomode, piegandosi a ogni richiesta degli avversari. Insomma, il rischio è che si vada verso una forma di autocensura, tradendo il nostro mandato di servizio pubblico che prevede anche un giornalismo critico, coraggioso, nell’interesse del paese e del suo sistema democratico.
R: Il rischio di autocensura esiste, ma come dicevo, alla fine sarà il popolo a decidere e non penso che la maggioranza degli svizzeri si aspetti dalla SSR programmi edulcorati, né tantomeno un giornalismo codino o peggio, scandalistico, stile “Blick”. È vero, però, che sento sempre più spesso critiche che non arrivano solo dall’ UDC ma anche dai partiti di centro, secondo i quali la copertura giornalistica offerta dall’azienda è troppo collocata a sinistra. Se questa opinione è sempre più diffusa, non solo in Svizzera tedesca ma anche in Svizzera romanda, allora, forse, qualcosa di vero c’è. È possibile che alcuni giornalisti della SSR non facciano sempre correttamente il loro lavoro.
Un giornalismo troppo di sinistra?
D: Sul punto che il giornalismo della SSR sia eccessivamente di sinistra mi permetta di dissentire. Ma torniamo al nostro tema. È innegabile che tra inchieste interne sulla violazione della personalità, le polemiche sull’abolizione del salario variabile dei quadri e ora anche il rischio di perdere i diritti sull’ hockey (dopo quelli del calcio nazionale e della Champions League), la SSR sia in affanno. Dobbiamo arrenderci al peggio o si può sperare, che anche nel 2025, il popolo difenderà il servizio pubblico?
R: Il compito è difficile. Paradossalmente l’iniziativa “No Billag” proprio perché era estrema, (o tutto o nulla) offriva dei margini di manovra migliori. In questo caso, invece, temo che molti nostri concittadini, anche coloro che sono favorevoli al servizio pubblico, possano ritenere che 200 franchi bastano. La sfida per la SSR sarà quella di mostrare concretamente che un dimezzamento delle risorse significherebbe una perdita enorme, in termini di programmi, di qualità del servizio pubblico ma anche di posti di lavoro. Bisognerà anche lavorare nel concreto, mostrando che si sta facendo uno sforzo per ridurre le spese eccessive. Per esempio, in occasione dell’ultima elezione del Consiglio federale, a Palazzo, c’erano più di 200 collaboratori della SSR. Tutto il Parlamento si è chiesto cosa ci facesse tutta quella gente, a cosa servisse. E poi c’è il grande capitolo degli enormi salari percepiti dai direttori. Ogni tanto, si ha l’impressione che ai piani alti della SSR, ma anche nel Consiglio di amministrazione, si viva in un altro mondo. Insomma, se si vogliono avere delle possibilità di riuscire a sconfiggere anche la prossima iniziativa, il lavoro da fare, per la SSR, è parecchio e i vertici dell’azienda, il loro modo di agire e di porsi, da questo punto di vista, giocherà un ruolo fondamentale. Come detto, gli errori non sono più ammessi.