SSR tra disavanzi e bonus

Da Naufraghi.ch riprendiamo, con l’autorizzazione dell’autore, questo articolo di Enrico Lombardi


È una delle notizie del giorno su “20 Minuten” ed echeggia rumorosamente fra le mura delle sedi politiche istituzionali e quelle delle sedi del servizio pubblico radiotelevisivo nazionale: il Bilancio annuale 2020 della SRG/SSR, un corposo malloppo di 216 pagine ritrovabili anche online, dà conto dell’operato dell’azienda nazionale dichiarando un deficit di 13,5 milioni di franchi.

Il dato è noto: effetto pandemia, minori introiti pubblicitari legati anche all’assenza di una serie di eventi (specie sportivi, come le Olimpiadi o gli Europei di calcio) che avrebbero garantito maggiori entrate da parte degli sponsor ed anche, perché no, una maggiore quota di mercato degli ascolti su base annua, calati anch’essi di quasi un punto (dal 31,5% al 30,7%).

Si impongono dunque draconiane misure di risparmio, afferma da tempo la dirigenza, si profila uno scenario che porterebbe, entro il 2024 al taglio di 250 posti di lavoro.

Ma la notizia di “20 Minuten” (che non ho ritrovato nella versione italiana) è che in questa temperie di risparmi e sacrifici necessari, i quadri aziendali continuano a vedersi corrisposti bonus di prestazione inalterati, a cominciare dal Direttore Generale Gilles Marchand, che stando al rapporto in questione ha percepito un salario di 533.000 franchi, suddivisi in 396.000 di stipendio di funzione, 101.000 di bonus e 36.000 di spese accessorie. Rispetto al 2019, 1000 franchi in più.

Stando a CH Media, riferisce poi ancora “20 Minuten”, anche in casa SRF, l’unità aziendale svizzero-tedesca, le cose non stanno diversamente: come a Berna, insomma, anche a Zurigo il Direttore, anzi, nella fattispecie la Direttrice, Natalie Wappler, percepisce uno stipendio che è press’a poco quello di un Consigliere Federale: 450.000 franchi.

Ora, si dirà, giustamente, che sono cifre ben inferiori a certi bonus di CEO di banche ed industrie, per carità, ed è vero che in casa SSR i bonus non sono commisurati ai risultati finanziari dell’azienda, che non deve produrre utili, ma programmi, ed usare i soldi del canone in modo adeguato al mandato; ma è anche vero che la paventata “aziendalizzazione” del servizio pubblico potrebbe in qualche modo passare anche da questi semplici dati: in un momento di difficoltà economica, a rimetterci, è il personale, che rischia il posto. Per i dirigenti non cambia proprio nulla.

Proprio come nel settore privato.

Ed è qui che, forse, varrebbe la pena di porsi qualche domanda prima che ci pensi certa politica e certa stampa che ha già il fucile carico da tempo: l’azienda di servizio pubblico nazionale, nel contesto che le è più proprio, quello della “comunicazione”, dovrebbe dare qualche segnale diverso, mostrare di essere cosciente di avere un “mandato pubblico” che dovrebbe indurla a muoversi diversamente da quanto non faccia un’azienda privata. A cominciare da uno sforzo concreto e reale per salvaguardare i propri prodotti attraverso il mantenimento dei posti di lavoro di chi quei prodotti li realizza.

Su 6000 collaboratori, alla SSR ci sono oltre 500 quadri, dirigenti di vario livello che percepiscono in generale stipendi elevati, comprensivi di bonus di prestazione legati agli obiettivi personali fissati da superiori e direzione. Ecco, forse una riflessione su questa componente del budget annuale della SSR la si potrebbe fare, tanto più che gran parte dei quadri in questione non sono direttamente legati alla produzione dei programmi.

Di fronte alle non poche questioni sollevate da “20 Minuten” circa la compatibilità fra crisi finanziaria della SSR e stipendi + bonus inalterati per i dirigenti (che sono poi quelli chiamati a vario titolo a decidere come e chi tagliare per risparmiare), ecco forse l’azienda potrebbe mandare un segnale diverso da quello del responsabile della comunicazione, che parla candidamente di “momento di ristrutturazione” che ha pur portato al riconoscimento di un premio annuale per ogni collaboratore di ben… 200 franchi. Così si sfiora il ridicolo.

Se il servizio pubblico radiotelevisivo vuole invece rispondere un po’ più concretamente (e doverosamente) alle domande poste dall’articolo, deve probabilmente chinarsi ad analizzare il funzionamento e l’organizzazione della sua componente amministrativa e dirigenziale, che naturalmente è necessaria, certo, ma che continua ad essere, nel suo ramificarsi, crescere e prosperare fra gli interstizi di studi, e sedi di programma, un vero punto focale su cui si potrebbe decisamente intervenire per permettere che siano salvate, ad ogni costo, le risorse fondamentali: i collaboratori che producono programmi, cui si chiede di mantenere alta la qualità, di offrire contenuti e forme diversificate, di essere flessibili, saper fare un po’ di tutto (ma tutto bene) e in pochissimo o nullo tempo. E tutto questo con la spada di Damocle sulla (loro) testa dei ventilati 250 posti che devono saltare.

Da un servizio pubblico, come quello radiotelevisivo, già fortemente in difficoltà dentro il turbine delle indagini sulle molestie, in costante ed affannata rincorsa a giustificazioni di ogni tipo per qualificare imprese immobiliari anacronistiche e per di più in perenne ritardo, ci si deve aspettare una risposta più consapevole circa le priorità insite nel proprio mandato.

Le FFS, lo scorso anno, hanno praticato un taglio del 10% dei bonus ai propri quadri dirigenti.
Vorrà pur dire qualcosa, no?