Noi che segnaliamo casi di ingiustizie subite da colleghe e colleghi, la Direzione che dice che roviniamo l’immagine del servizio pubblico.
Noi che cerchiamo di portare alla luce ciò che viene regolarmente nascosto sotto il tappeto, loro che rispondono che non sono abituati a nascondersi “e che quando si sbaglia è giusto pagarne le conseguenze, soprattutto se si svolge un ruolo importante e delicato”.
Noi che segnaliamo che non si può sanzionare le colleghe e i colleghi e non sanzionare mai i quadri dirigenti RSI. Loro che “ho chiesto scusa” e tanto deve bastare.
Noi che “sono arrivata in ritardo di un’ora e sono stata licenziata”, loro che “ho fatto ammenda”. Loro fanno sempre ammenda anche quando mettono alla porta inermi colleghi “manu militari”.
Noi che segnaliamo ingiustizie a manciate, loro che dichiarano alla stampa “anche uscisse un solo caso è un caso di troppo”.
Noi che dichiariamo e che rendiamo attenti sul fatto che i cittadini della Svizzera italiana, ma pure la concessione SSR, chiedono una radio di attualità e approfondimento culturale, distinta dalla radio generalista, loro che rispondono… anzi loro che non rispondono.
Ma poi, incalzati dalla stampa, dicono che non si può discutere: l’hanno fatto a RTS e ora tocca alla RSI.
Noi che diciamo che Rete Uno ha una sua riconoscibilità e identità precisa e che oltretutto negli anni ha ridotto gli spazi specifici e regolari dedicati all’arte, alla letteratura, al teatro, al cinema, alla musica classica e al jazz.
Loro che dicono che i colleghi di Rete Due fanno i saputelli e accusano i colleghi di Rete Uno di fare “bla bla”.
Noi che dichiariamo che ci sono in RSI casi di donne denigrate professionalmente e nella loro identità di esseri umani, loro che rispondono accusandoci di dichiarare all’opinione pubblica che i casi di abusi alla RSI sono “all’ordine del giorno”.
Noi che fare giornalismo senza liberare la parola è impossibile, loro che delle parole ci fanno iperboli.