RSI: Una cultura senza rete

Da LaRegione del 9 gennaio 2021 riprendiamo l’intervento del collega Enrico Lombardi

Ho ricevuto anch’io l’invito a sottoscrivere la petizione che chiede di “salvare il parlato di Rete Due” ridotto alla miseria di 6 minuti all’ora e vittima di drastici tagli sui collaboratori.
Ci ho molto pensato e non potrebbe essere diversamente, data la mia personale storia professionale.
La Rete Due l’ho vista nascere dalle ceneri del “Secondo programma”, cui ho cominciato a collaborare nel 1975 e poi con un contratto a cachet dal 1979.
Sin da allora, fresco reduce dei corsi universitari di Lettere, ho pensato di godere di una condizione di eccezionale privilegio potendo far parte di un settore radiofonico che permetteva di parlare di “cultura”  con interlocutori e collaboratori di grande competenza e prestigio.

In nome della nostra particolare condizione di minoranza culturale, per la nostra iperbolica realtà regionale, abbiamo ricevuto, in tutti questi anni, uno strumento di incalcolabile ricchezza, di cui abbiamo goduto troppo spesso inconsapevolmente, come ci venisse attribuito per diritto o per giustizia divina.

Che poi, allora come oggi, i 4/5 dei finanziamenti per realizzare i nostri programmi in nome e a difesa della nostra identità culturale ci venissero da contribuenti d’oltralpe, d’altra lingua e d’altra cultura, non è mai parsa una questione che dovrebbe, fra l’altro,  farci ragionare un po’ di più e un po’ meglio sul valore culturale del nostro essere collocati dentro un contesto nazionale plurilingue.

Sono mutati i tempi, per tutto, e dappertutto. Sono mutati i parametri di “costi e benefici” per tante ragioni, politiche, economiche, culturali. Eppure noi, nel nostro microcosmo svizzeroitaliano massmediatico di servizio pubblico, non si è mai stati realmente scalfiti dall’idea  che un giorno tutto ciò potesse anche finire o fosse costretto a ridefinirsi radicalmente: se così fosse stato, negli anni, anche la stessa Rete Due avrebbe potuto elaborare, legittimamente e meritoriamente, progetti ed iniziative che ne mostrassero una maggiore e più chiara volontà di uscire da quello che a volte, a mio avviso, è diventato una sorta di suo “guscio autoreferenziale”.

Certo, si trattava, e si tratta, di decisioni che avrebbero dovuto impegnare anzitutto la dirigenza aziendale nel ridefinire modalità, linguaggi e sinergie di Rete Due affidandone l’elaborazione alle molte intelligenze che da anni vi lavorano in condizioni difficilissime. Lo si fosse fatto, oggi sarebbe meno facile e semplicistico risolvere il problema del contenimento dei costi aziendali con la liquidazione di una Rete marginalizzata in relazione ai suoi dati d’ascolto.

Ora, con questa petizione si intende “denunciare” l’impoverimento di Rete Due come un duro colpo al mandato culturale della RSI: posizione certamente legittima, ma che elude, appunto, un’altra e maggiore questione: quella di una necessaria ed adeguata revisione della “cultura aziendale”.

Oggi l’Azienda deve risparmiare e lo fa, mi sento di dire, senza un’adeguata cultura del cambiamento, senza un percorso che abbia delineato scelte precise, priorità di programma, un’attenzione specifica riguardo all’aggiornamento degli strumenti comunicativi e giornalistici a disposizione per garantire maggior qualità,  autorevolezza, più cultura alle proprie emissioni non solo specificamente “culturali”, ma anche di informazione, di intrattenimento, di sport. Sono tutti ambiti degnissimi di attenzione, a pari titolo, che si possono trattare con rigore o con superficialità: dipende da quanto si vuole investire per dar loro “un valore aggiunto” qualitativo, peraltro richiesto ai prodotti del servizio pubblico.

E la svolta digitale? Non meriterebbe anch’essa un approccio serio e approfondito che vada oltre l’opportunità di intravvedervi soprattutto una fonte salvifica di ricambio generazionale a basso costo, grazie all’arruolamento di operatori “smart”, giovani, simpatici e flessibili?

Il problema della cultura alla RSI è un problema dell’intera Azienda, delle sue reti radiofoniche e dei suoi canali televisivi così come, in fondo, del suo rapporto verso il pubblico. Per affrontarlo credo occorrano anzitutto diverse e nuove capacità comunicative (anche questa sarebbe una nuova cultura, più inclusiva nei confronti dei collaboratori, più in ascolto delle richieste del pubblico) in modo che, ad esempio, progetti di trasformazione come quello in discussione attualmente non piovano dall’alto e in forma talmente criptica da allarmare persino la CORSI;  occorre che la CORSI faccia davvero il proprio mestiere, quello di un Consiglio di Amministrazione che pretenda una dirigenza più aperta al dialogo dentro e fuori le proprie mura, che si faccia carico di nomine accreditate ( segnalo, per la cronaca, che dal 2012 il Dipartimento Cultura RSI non ha un capo di lingua madre italiana), che impieghi i non pochi mezzi di cui dispone per analizzare maggiormente la verticistica organizzazione aziendale, il ruolo discutibile di non pochi “quadri” e per rinforzare al’interno dei propri gremi la presenza di personalità autorevoli e competenti più che di rispettabili rappresentanti politici.

Perché alla RSI cambi la “cultura aziendale” occorre infine che tutte le risorse di mezzi e soprattutto di persone (il principale patrimonio dell’Azienda), vengano mantenute e valorizzate, che i collaboratori siano maggiormente coinvolti, ascoltati e messi in condizione di lavorare anche per una riqualificazione dei programmi, oggi troppo pesantemente in affanno per l’esiguità di forze redazionali a disposizione, e per la mancanza di un disegno strategico complessivo che indichi e spieghi le ragioni di scelte e rinunce.

Enrico Lombardi (Ex-produttore RSI)


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