I forzati della „schisceta”
Verso mezzogiorno dalla tromba delle scale sale un insistente profumo di cibo: i forzati della schisceta si sono messi ai fornelli.
Al piano terra, nell’atrio ex TG, è tutto un armeggiare di Tupperware, di cartocci in alu. Arturo, uno dei primi ad essersi installato nella “cucina da campo” fa avanti e indietro dall’improvvisata sala da pranzo al forno a microonde.
“È ormai da un paio d’anni che per pranzo mi organizzo così” – dice Arturo.
La schiera dei forzati della schisceta è sempre più numerosa. “È una situazione di ripiego – ci dice Didi – siamo precari, non possiamo permetterci di andare al ristorante ogni giorno.” “Mancando una vera mensa, ribadisce Arturo, abbiamo dovuto organizzarci così.”
Ma, ribattiamo noi, la mensa c’è. Il nostro ristorante offre, comunque, dei pasti a prezzi contenuti!
“Per chi fa orari come i nostri, sempre più irregolari e spalmati su intere giornate di 10-12 ore, ci vorrebbe una mensa simile a quella della Radio di Besso che offre una certa varietà di pietanze e puoi essere servito in ogni momento o quasi. Qui a Comano ci siamo dovuti ingegnare per non andare avanti a nutrirci solo con gli snack dell’automatico.”
Ai piani alti promettono, ormai da anni, una soluzione. Soluzione tutt’altro che in vista. Infatti, nel costruendo “Campus” sembra non sia stata progettata nessuna mensa. Si vede che la Direzione non la ritiene una priorità.
L’esercito della schisceta, nel frattempo, avanza e si ingrossa. Il precariato ormai non fa più solo rima con salari al ribasso e orari al limite della legalità. Bisogna mettere in conto anche la frugalità dei pasti e le condizioni in cui vengono consumati. Forse fa parte dell’illuminata strategia “da straccà el pess”. La gente, alla lunga, non ne può più e se ne va sponte sua. Un modo per poter dire: “non abbiamo licenziato nessuno”.
EC
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