Ci siamo anche noi – Katia e le colleghe della sartoria

Continua la nostra serie di ritratti di colleghi e colleghe di cui in genere si parla poco. Sono persone che lavorano con una certa discrezione. Pur svolgendo mansioni fondamentali per il buon funzionamento dell’azienda, difficilmente li troverete menzionati nei titoli di coda di un servizio radiotelevisivo o in calce a qualche documento ufficiale. Anzi, molti di loro li conosciamo solo con il soprannome. Eppure, se dovessero mancare, ce ne accorgeremmo immediatamente.

Se c’è stato un vantaggio, con l’apertura del cantiere del Campus, è stato sicuramente quello di dover transitare dai sotterranei per potere passare dallo stabile amministrativo allo stabile ex TG. Là sotto si scopre una vitalità inimmaginabile: il lavoro instancabile di un esercito di simpatiche “talpe” che dalle prime ore del mattino a tarda sera truccano presentatrici e presentatori, animatrici e animatori, commentatori e ospiti. Poi ci sono le sarte che rammendano, cuciono, stirano, preparano i vestiti. Le stiliste che cercano le giuste combinazioni, i colori dei vestiti che fanno “pendant” con quelli degli studi. Insomma, un piccolo villaggio con le sue logiche, i suoi percorsi, che noi, dovendo passare di lì, abbiamo scoperto e che vogliamo fare emergere.

Katia Robbiani, referente per l’abbigliamento, è in azienda da 30 anni. Formatasi come sarta, è entrata in RSI giovanissima e in questi tre decenni, di cose ne ha viste cambiare parecchie, anche nei sotterranei.

“La sartoria e tutte le attività connesse con le trasmissioni, devono essere facilmente raggiungibili dagli studi. Per questo siamo, per così dire, confinate nelle segrete. Anche se oggi le grandi produzioni come teatri e film non li facciamo quasi più, da noi è impossibile annoiarsi. Rispetto a un tempo, dove si riusciva a programmare il lavoro, oggi siamo spesso chiamate a reagire sul momento. Basta poco: un presentatore che a pochi secondi dall’andare in onda si macchia la camicia di caffè. Dobbiamo essere pronte a intervenire con una nuova camicia, una nuova cravatta. Andare in diretta con una chiazza sul petto sarebbe imperdonabile.”

Voi lavorate costantemente sotto terra, come la vivete questa condizione?

Si, in effetti la giornata la passiamo quasi interamente qua sotto. La ventilazione è garantita artificialmente, così come artificiale è la luce. Viviamo sempre in condizioni artificiali. L’unico locale con la luce naturale è la sartoria, al piano terra, ma in certi giorni manco ci andiamo.

Ma voi avete diritto, come succede in molte aziende private come i grandi magazzini in cui le maestranze lavorano sotto terra, a pause più lunghe per compensare?

Sinceramente non lo so. Non mi sono mai informata. Sarà l’abitudine. Io è 30 anni che sono sotto terra.

Come una talpa?

Infatti. So solo che a un certo punto volevano adibire una sala pausa sempre nel semi interrato. Ci siamo rifiutate. Alla fine, ci hanno concesso un locale con le finestre.

Alla RSI si producono molte trasmissioni. Come fate a reggere il ritmo?

Devo dire che con gli effettivi di cui disponiamo ce la possiamo ancora fare. Certo, non è come fino a qualche anno fa quando eravamo più numerose e tutte a contratto CCL. Oggi, la nostra squadra si compone di appena tre collaboratrici in CCL: io all’80%, un’altra al 100% e una al 50%. Possiamo contare anche su una sarta a prestito che lavora al 50% e a una ragazza in prova (50 giorni) con un contratto a ingaggio. Con noi collaborano anche 5 costumiste a ingaggio. Due hanno un contratto di 20 giorni e le altre tre un contratto di 50 giorni l’anno.

Visto il vostro costante impegno e le grandi responsabilità che vi assumete, non sarebbe più logico poter contare maggiormente su personale interno?

Beh, questo sarebbe l’ideale anche perché chi è interno si sente maggiormente coinvolto, si identifica nel lavoro e nell’azienda. Gli esterni, presi a prestito o a ingaggio, magari a tempo determinato, oggi possono essere qui da noi e domani doversi ricollocare altrove. Questo è un peccato. La RSI non è una fabbrica di lampadari. La nostra è un’azienda particolare che svolge un’attività particolare. Sentirsi pienamente parte della famiglia, e non dei precari, è importante. Per la qualità del lavoro ma anche per la qualità della vita. Mi spiego meglio: il fatto di poter contare sui dei tempi parziali ci fa molto comodo, ci permette di essere più flessibili. Ci sono giorni in cui siamo pienissimi e altri in cui siamo più tranquilli. Il problema, semmai, si pone nel tipo di contratto. Chi gode di un contratto in CCL ha sicuramente maggiori vantaggi e garanzie rispetto a chi ha un contratto da esterno. Queste disparità posso creare delle tensioni. Le colleghe esterne sono sempre in una situazione provvisoria, non sono mai certe che l’anno seguente avranno ancora lavoro.

Negli anni com’è cambiato il vostro lavoro, se è cambiato?

Noi rimaniamo sostanzialmente degli artigiani. Cucire, rammendare, stirare… è rimasto tutto uguale. È l’organizzazione del lavoro che dovrebbe cambiare. Ti faccio un esempio. Nei nostri depositi conserviamo centinaia di vestiti. Se ho bisogno di un certo tipo di abito me lo devo andare a cercare facendo affidamento sulla mia memoria. In fondo ci vorrebbe poco, fotografare ogni capo e organizzare una banca dati che ci permetta, in un batter d’occhio, di verificare se ciò di cui abbiamo bisogno è disponibile in magazzino e dove lo possiamo trovare. Ma anche i supporti informatici per trovare il giusto abito, pianificare eventuali adattamenti, combinarlo con le esigenze di ogni persona e di ogni studio, ci sarebbero di grande aiuto. Noi vestiamo costantemente più di ottanta persone oltre agli ospiti occasionali. Purtroppo, da questo punto di vista, siamo rimasti fermi a quando io sono entrata in azienda.

Voi siete un tassello fondamentale per il “core business” della RSI. Anche se lavorate nell’ombra, quello che voi fate appare sullo schermo. Vi sentite sufficientemente valorizzate?

Io, in questi anni, ho imparato a prendermi i miei spazi, a porre, quando ciò si impone, le mie condizioni, a farmi valere. Alcuni hanno l’impressione che la sartoria sia un’attività secondaria. Poi, però, quando all’ultimo secondo si strappa un vestito o il tessuto della giacca dell’ospite “frigge” sotto i fari dello studio, allora dobbiamo correre. Ma al di là di questi momenti, chiamiamoli così, di stress, che nel nostro lavoro ci stanno, riceviamo un sacco di complimenti per come abbiamo vestito il tal presentatore o la tal presentatrice. Riusciamo ancora a prenderci delle belle soddisfazioni. Certo, le cose ogni tanto si complicano. Le scenografie dei nuovi studi ci pongono, a volte, qualche problema. Inoltre la catena di comando non sempre funziona come dovrebbe, ci sono delle sovrapposizioni che ci confondono e ci fanno perdere tempo.

Si parla di ristrutturazioni, di risparmi. Voi come la state vivendo questa situazione?

Visto e considerato che le produzioni non solo non diminuiscono ma aumentano, non vedo bene come si possa tagliare nel nostro settore. Siamo all’osso. Se dovessero ridurre ulteriormente i nostri effettivi non saremmo più in grado di rispondere a tutte le richieste.

Il rischio esternalizzazione?

Questo rischio lo vedo. Nello specifico, ho due colleghe che hanno raggiunto i 60 anni e dovranno presto essere sostituite. Ho paura, come è già successo in passato, che i loro contratti vengano girati all’ esterno. Questo non sarebbe bello e avrebbe delle conseguenze negative su tutto il nostro settore. Come dicevo, la nostra è un’azienda particolare. Sei pagato per un certo numero di ore, ma poi se la puntata va chiusa il giorno stesso, tu devi essere disponibile fino alla fine, poco importa se sfori. Chi ha delle garanzie, un contratto, questo lo fa senza fiatare. Gli esterni, giustamente, finito il loro turno, se ne vogliono andare.

Voi siete tutte/i sindacalizzate/i?

Io lo sono, gli altri colleghi non lo so, lo spero. Ti dirò di più, per anni ero convinta di essere iscritta al sindacato, semplicemente perché dal mio salario (come a tutti) vengono dedotti 13 franchi quale contributo per l’attuazione del CCL. Solo recentemente mi sono accorta che essere iscritti è un’altra cosa: bisogna annunciarsi, riempire un formulario e pagare una quota mensile, stabilita in base al salario. Chissà quanti colleghi sono convinti di essere sindacalizzati e non lo sono.

Lo sapevi che anche chi è esterno può iscriversi al sindacato? Anzi, proprio i precari, che sono i più fragili, hanno tutto l’interesse a farlo.

No, non lo sapevo. Lo farò presente alle mie colleghe.

E fuori dal lavoro cosa fai?

Io lavoro all’80%, per il resto del tempo mi occupo della mia casa. Sono sposata ma non ho figli. Nel mio tempo libero faccio del volontariato… lo faccio da quando ero bambina. Sono attiva nell’associazione “Sport insieme” nel Mendrisiotto, In particolare, mi dedico all’insegnamento del nuoto ai disabili. Mi metto a disposizione anche per molte altre attività ricreative organizzate dallo stesso gruppo. Inoltre, aderisco a “Gioventù rurale”: i miei genitori erano contadini. Sono molto affezionata a questo ambiente.