A proposito dell’intervista di Enrico Carpani… nella giornata dello sciopero delle donne
Nella giornata dello sciopero per i diritti della donna e dopo aver letto in Intranoi il testo di Anna Sterchi intitolato “Le donne ai fornelli invece che alla macchina da scrivere” sento l’esigenza di tornare sulla recente intervista sul tema “presenza femminile” rilasciata da Enrico Carpani e pubblicata anche in video sempre su Intranoi.
Infatti, anche le parole di Carpani, insieme a quelle di Massimo Lorenzi (capo Sport RTS) evocate in apertura di intervista, potrebbero inscriversi desolatamente dentro il capitolo delle scuse e giustificazioni tutte maschili per spiegare una diseguaglianza palese di rappresentatività di genere che ha caratterizzato e caratterizza tuttora il mondo e la cultura del giornalismo sportivo.
Da ex-redattrice, giornalista, conduttrice e produttrice sportiva, vorrei solo sottolineare come proprio in quel settore permangano ancora oggi, e con la “benedizione” di Lorenzi e Carpani, tutta una serie di preconcetti e pregiudizi che davvero sembrano alimentarsi dentro le chiacchiere da bar che per Enrico diventano tutt’a un tratto, un riferimento per indirizzare le scelte di chi, come lui, designa ruoli e compiti nella gestione o conduzione di emissioni sportive.
Invito le colleghe ed i colleghi interessati ad andare a riascoltare l’intervista di Carpani, che parte dalla dichiarazione di Lorenzi secondo cui la “voce femminile è meno piacevole all’ascolto rispetto ad una voce maschile per i suoi toni acuti”. Dichiarazione che Carpani definisce “brutale e inopportuna” e che io mi permetto semplicemente di definire “insensata e pretestuosa”.
Faccio però anche notare che quanto afferma Lorenzi riguarda una presunta questione “fonologica” che non differisce da una disciplina sportiva all’altra: per Lorenzi è un assunto che riguarda una sua (molto maschile) percezione della “morfologia vocale femminile”.
Carpani ne prende apparentemente le distanze, ma poi, con un’argomentazione piuttosto bizantina, attenua le dichiarazioni di Lorenzi, sostenendo che “purtroppo c’è del vero: non è la voce della donna ad essere poco credibile, ma la percezione del pubblico rispetto al fatto che una donna si occupi di qualcosa che è considerato al di fuori delle corde della maggior parte delle donne”!
E poi arriva al culmine dell’assunto: “Il giorno in cui nei bar di Lugano e del mondo intero ci saranno tante donne che parlano di calcio quanti sono gli uomini, non ci sarà nessun problema ad accettare una voce femminile che commenta la Champions League, tant’è vero che per altre discipline sportive non vi è alcuna controindicazione ad accettare voci femminili.”
Dunque: il discorso si sposta improvvisamente tutto sul calcio (gli sport “minori” sono già ora “concessi” anche alle donne) e a far da discrimine è la popolazione mondiale di frequentatori di bar.
Non mi inoltrerò ulteriormente nelle argomentazioni di Enrico, perché trovo francamente un po’ sconfortante compiere tale esercizio.
La mia personale e parzialissima esperienza, che si è espressa anche in lunghe serate di Champions, mi porta soltanto a dire che sarebbe ora che la si smettesse di accampare scuse e giustificazioni, andando addirittura a pescare nel bacino (per altri versi spesso contestato) delle “voci da bar”, dove fra l’altro imperversano giudizi spesso brutali e inopportuni verso i diversi e competenti colleghi commentatori.
È una questione culturale che uomini e donne insieme, anche in quest’ambito, dovrebbero cercare di affrontare in altro modo: le donne proponendosi senza complessi, gli uomini accogliendole senza pregiudizi.
Certo, è un lavoro lungo e difficile, perché espressioni come “sta a cà a fà calzeta” sono tuttora tristemente all’ordine del giorno non solo nei bar, ma anche in qualche redazione.
Sono però convinta che un passo avanti sia stato fatto con il lavoro di colleghe brave e preparate. Tocca a loro, per prime, sollecitare l’attenzione dei colleghi uomini verso una visione del lavoro in ambito sportivo che non si riduca al calcio guardato nei bar.
Quello dello sport è un mondo bellissimo, fatto anche da donne eccezionali capaci di produrre ottimi contenuti e di raccontarli.
A Enrico Carpani mi permetto solo di suggerire che potrebbe ricordare a Massimo Lorenzi un solo nome, fra i tanti, che hanno fatto la storia dello sport alla RTS: Anne-Marie Portoles. Era “lo sport” anche al TG! Una grande collega, dalla voce gradevole e autorevole, amata dal pubblico, scomparsa troppo presto.
Intorno a noi, in tutte le emittenti, ci sono donne che conducono programmi sportivi o vi partecipano a pieno diritto. Non è più il tempo degli alibi e delle arrampicate sui vetri. Occorre semplicemente buona volontà ed una diversa “sensibilità”.
Emanuela Gaggini