Il Giardino Perduto

Qualche giorno fa, nella quasi totale discrezione, la produzione del “Giardino di Albert” è stata fatta scivolare all’esterno e appaltata a due ditte private. Un’operazione assolutamente legittima, che tuttavia priva l’azienda RSI di uno fra i prodotti più apprezzati dal pubblico (non solo quello svizzero-italiano). Il sindacato non può certo mettersi di traverso di fronte a una decisione simile. Può però dissentire: se cominciamo a esternalizzare i gioielli di famiglia, fra un po’ alla RSI non resterà più molto da fare. Questa decisione, quindi, non ci piace affatto anche perché rischia di mettere a repentaglio molti posti di lavoro di qualità e potrebbe, oltretutto, costituire un pericoloso precedente.

Vi proponiamo un contributo di un collega che al Giardino ci ha lavorato parecchio.

Come definirlo? Un fulmine a ciel sereno?

A dire il vero, era un timore che serpeggiava lungo i corridoi già da qualche tempo, ma che comunque ha colto molti di noi di sorpresa: “Il Giardino di Albert”, una delle produzioni più amate e coccolate da tutti, soprattutto da coloro che hanno avuto la fortuna di lavorarci, lascia la RSI (salvo la redazione) per venire totalmente prodotta in esterno, da due case di produzione che uniranno le forze per affrontare questa avventura.

Io ho avuto la fortuna di collaborare con “il Giardino” per parecchi anni ed era uno di quei programmi che tutti amavano fare con grande entusiasmo: redattori e registi, cameramen e fonici, montatori e sonorizzatori, grafici, script e videomaker. Ognuno metteva del suo: creatività, passione, impegno, calore. E ci sentivamo parte di qualcosa di speciale. Quante volte ho sentito dire: ‘finalmente lavoro per “il Giardino”!’ come se “il Giardino” fosse davvero un’oasi. Non un’oasi di pace o tranquillità, intendiamoci – perché l’impegno che chiedevamo ai nostri colleghi era totale -, ma un’oasi dove poter finalmente fare il proprio lavoro con cura, con attenzione, con meticolosità, al di là dei soliti canoni produttivi. In quale altra produzione si potevano realizzare riprese agli infrarossi per vedere una falena deporre le uova? O usare i “timelapse” per osservare il baco da seta compiere la “salita al bosco” e tessere il suo candido bozzolo? O ancora, filmare con la macro la schiusa di minuscole uova per assistere alla nascita di minutissime larve? E infine, immergersi sott’acqua per vedere il lavoro degli archeologi che scandagliavano i fondali di un lago alla ricerca delle fondamenta di una antica comunità che viveva sulle palafitte?

Ricordo una notte passata all’addiaccio per riuscire a catturare qualche immagine di cervi e cinghiali: ci spostavamo in silenzio, al buio, appostandoci sotto le fronde di un albero o tra i cespugli, con le orecchie tese per captare un qualsiasi rumore o fruscio, consumandoci gli occhi nella speranza di percepire – nella notte rischiarata dalla luna – un qualsiasi movimento… qualcosina eravamo riusciti a filmare, ma la squadra non era del tutto soddisfatta: “restiamo ancora un po’,” dicevano, con le palpebre che si facevano sempre più pesanti. Prevaleva la voglia, insomma, di documentare qualcosa di spettacolare da mostrare al nostro pubblico. Se fosse stato per il cameraman e il fonico, avremmo passato la notte in bianco!

Questo per dire che per “il Giardino” eravamo tutti disposti a dare il massimo. Anche di più, senza badare alle ore di lavoro, alla fatica, alla scomodità di certe situazioni che dovevamo affrontare (come inerpicarsi su su per un sentiero di montagna con camera – xdcam! -, cavalletto, e mixer sulle spalle per una ripresa mozzafiato).

Sono sicuro che il lavoro al “Il Giardino” ci mancherà. E parecchio. E mi domando se – internamente – riusciremo di nuovo a realizzare un programma di qualità che – come “il Giardino” – riusciva ad attirarsi la simpatia e dei colleghi e del pubblico che lo seguiva con grande assiduità. Sì, perché – immagino sia capitato a tutti – quando siamo fuori – “sul campo” – a lavorare, alcuni ci guardano con sospetto, diffidenza, ma basta dire che siamo de “Il Giardino di Albert” che subito i volti si illuminano con un sorriso e la gente si ferma a vedere come lavoriamo, spesso commentando: “non pensavo che ci fosse tanto lavoro dietro a una ripresa. Bravi…”

Auguro, a chi se ne occuperà in futuro, di metterci tutta la passione e l’impegno che “il Giardino” merita: un programma bello e di pregio che – sono convinto – è uno di quei programmi che fa apprezzare la RSI al pubblico che ci sostiene.

Fabio De Luca