E se l’ordigno esplodesse?
Il calendario è scandito da ritmi spaventosi: se l’iniziativa venisse accolta, le emittenti radiotelevisive di diritto pubblico dovrebbero chiudere entro un anno.
L’iniziativa no Billag farebbe crollare la SSR. E bloccherebbe la strada a qualsiasi media finanziato con fondi pubblici in futuro. Uno scenario inaccettabile per motivi democratici, ma anche economici.
Di Kaspar Surber, dalla Woz No. 43/2017 del 26.10.2017
A quattro mesi dalla votazione, aumenta la disponibilità ad accendere la miccia. «Probabilmente» sosterrà l’iniziativa No-Billag: è quanto ha dichiarato Christoph Blocher su «Teleblocher». L’iniziativa esige l’abolizione del canone di ricezione radiotelevisiva: come sempre, Blocher parla nel tono afflitto di chi è attanagliato dal dubbio, conscio dell’enorme responsabilità che grava sulle sue spalle. Come se lui e la sua UDC non aspettassero questo momento da tempo.
Già nella votazione finale in Parlamento, l’iniziativa ha raccolto il consenso di più della metà del gruppo UDC, fra cui esponenti della politica mediatica abituati a dare il la, quali Natalie Rickli (che fino alla campagna per la votazione faceva lobbying per il gruppo pubblicitario Goldbach), Gregor Rutz (membro del comitato di Aktion Medienfreiheit) o Roger Köppel («Weltwoche»). Si aspetta ancora la decisione dei delegati UDC in gennaio, ma nel partito in cui sono i vertici a dettare legge qualsiasi mossa che non sia il sostegno all’iniziativa sarebbe una vera sorpresa. Al massimo, lasceranno libertà di voto.
Deregulation totale
A lungo gli esponenti politici hanno badato bene a non essere in alcun modo collegati direttamente con l’ordigno esplosivo No Billag. L’iniziativa è stata inventata da giovani adepti dell’UDC e del PLR, che fanno ruota attorno al libertario Olivier Kessler, al termine del convegno «Aussteigen, Endstation Sozialismus!» di cinque anni fa. Ma per il finanziamento hanno ricevuto aiuti preziosi da chi li guardava con benevolenza: da uno scambio di email interno emerge che il decano dell’UDC Walter Frey ha sostenuto l’iniziativa con un contributo iniziale di 100 000 franchi. Frey non ha né confermato, né smentito la donazione (v. WOZ n. 10/2017). In parlamento l’UDC ha un’ultima volta preso le distanze a titolo dimostrativo: con un controprogetto che prevedeva la riduzione del canone della metà, che però è stata bocciata, anche se godeva del sostegno dell’ala destra dei radicali. Poi i primi sostenitori dell’iniziativa No Billag hanno iniziato ad uscire allo scoperto.
Mercoledì scorso ha deciso di appoggiare l’iniziativa anche l’Unione svizzera delle arti e mestieri, capeggiata dal direttore PLR Hans-Ulrich Bigler, che nel 2015 era già sceso in campo con una spietata campagna per il referendum contro la legge sulla radiotelevisione. Sebbene alla fine la legge sia passata con uno scarto di qualche migliaio di voti, il risultato è stato il campanello d’allarme. Preannunciava infatti che nella partita Billag ci si muoveva sul filo di lana. Allora però si trattativa di una questione tecnica, l’aumento del canone. Oggi è in gioco il sistema stesso, l’esplosione.
Oggi il fatturato della SSR ammonta a 1,6 miliardi di franchi, provenienti per tre quarti dal canone e per un quarto da entrate pubblicitarie. Se viene a mancare il canone, la SSR che conosciamo oggi imploderà. Per la radiotelevisione sono in gioco 5900 equivalenti a tempo pieno. Il canone di ricezione è anche la fonte di finanziamento delle emittenti radio nelle regioni di montagna e delle radio alternative, come pure delle emittenti televisive regionali: e sono altri 900 posti di lavoro. Qualora l’iniziativa venisse accettata, il crollo procederebbe a velocità spaventosa. Nel giro di appena un anno, l’iniziativa dovrebbe essere attuata e le redazioni chiuse.
Chi pensa che un’approvazione dell’iniziativa porterebbe ad una radiotelevisione pubblica con canoni più bassi sottovaluta la comprensione libertaria che gli autori dell’iniziativa hanno dello Stato, o meglio dell’antistato. L’iniziativa no Billag non vuole semplicemente smantellare i media pubblici nella loro forma attuale. Vuole anche impedire che un giorno ne possano nascere altri. La Costituzione infatti sancirebbe che in futuro non saranno permessi né i canoni statali, né altre forme di sovvenzionamento.
Lo Stato dunque non avrebbe più nessuna possibilità di attuare una qualsiasi forma di politica dei media. Anche l’articolo vigente, che garantisce un servizio mediatico oggettivo e variegato, verrebbe depennato completamente. Su questa base non potrebbe esserci nemmeno un’autorità di vigilanza indipendente per gli utenti dei media. L’iniziativa No Billag non è semplicemente una critica alla SSR. È la deregulation totale del sistema mediatico attuale, oggi di proprietà collettiva.
Sarebbe come togliere alle FFS i treni dai binari, vendere all’asta i binari e proibire in futuro qualsiasi forma di trasporto pubblico: che vadano tutti in macchina! Sarebbe come sciogliere il Fondo AVS, sospendere i pagamenti delle rendite e in futuro proibire qualsiasi forma di previdenza per la vecchiaia collettiva. Che si arrangino tutti!
Concorrenza? Neanche l’ombra
Nella loro argomentazione, gli autori dell’iniziativa promettono, come c’era di aspettarsi, che finalmente si attiverebbero le forze di mercato. Per via della sua «egemonia finanziaria la SSR ostacolerebbe offerenti privati innovativi». Abolendo il canone, si verrebbe a creare una «concorrenza libera ed equa, una competizione per aggiudicarsi i favori dei clienti. Senonché sarebbe un’illusione pensare che l’offerta attuale della SSR sarebbe effettivamente finanziabile sul mercato libero. Lo dimostrano le cifre contenute nel messaggio del Consiglio federale: oggi le trasmissioni televisive considerate d’informazione possono essere finanziate attraverso la pubblicità in ragione del 22%. Per lo sport la percentuale scende al 13 per cento. E per le trasmissioni per bambini e ragazzi parliamo appena del 2 per cento.
La spiegazione si trova nell’economia dei media. Nella catena di valore aggiunto dei media, il ruolo determinante è quello dei cosiddetti costi first copy. Per quanto riguarda le uscite, non ha nessun influsso se un articolo è letto 1000 o 10 000 volte o quante telespettatrici e quanti telespettatori raggiunge una trasmissione: i costi per il personale di produzione restano gli stessi. Chi vuole coprire i costi deve raggiungere un pubblico più ampio possibile per vendere pubblicità e abbonamenti. Ne consegue che sul mercato libero i media seguono il mainstream. L’effetto dell’iniziativa «No Billag» sarebbe una radiotelevisione privata insipida e superficiale.
Con l’abolizione del canone ci sarà da aspettarsi anche una rapida e forte diminuzione delle entrate pubblicitarie. Nessuna emittente privata raggiungerebbe lo stesso raggio di diffusione della SSR. E il colmo, su cui si stanno cimentando gli amici della patria dell’UDC: probabilmente la pubblicità restante andrebbe a emittenti estere. A uscirne vincitrice assoluta sarebbe la Goldbach Media, che fino a poco tempo fa aveva alle sue dipendenze Natalie Rickli. È lei la responsabile della commercializzazione delle finestre pubblicitarie di queste emittenti.
Un’altra possibilità di finanziamento dei canali privati, oltre alla pubblicità, sono gli abbonamenti, dunque la formula Pay-TV. Ma basta vedere l’esempio dello sport e volgere lo sguardo verso la Germania per vedere che non ci costerà molto meno del canone: dall’estate del 2018, in Germania chi vuole vedere dal vivo tutte le partite di Champions League dovrà pagare più di 500 euro all’anno.
I vantaggi della SSR
Non si sa ancora chi saranno i proprietari delle emittenti private future. Ma si possono avanzare delle ipotesi: contrariamente alla realtà attuale, che vede la popolazione come proprietaria del sistema mediatico di diritto pubblico, i canali privati servirebbero interessi politici. La tendenza che va delineandosi sempre più nella stampa – maggiori interventi politici nei momenti di crisi economica – verrà spostata deliberatamente anche su radio e televisione. Si prospetta il rischio di una situazione all’italiana o all’americana con Mediaset o Fox News.
Resta l’obiezione che tanto nessuno guarda la televisione svizzera, visti il palinsesto, che solo raramente si dimostra all’altezza di una Svizzera urbana, con un forte impatto migratorio, o anche trasmissioni politiche come «Arena», che non fanno altro che servire l’agenda politica dell’UDC. Perché allora chiedere a ogni famiglia 365 franchi di canone?
A prescindere dal fatto che con sorprendente frequenza si parla di televisione, ma quasi mai della radio popolare e informativa: il 4 marzo 2018 ci giochiamo di tutto, ma il palinsesto non c’entra. Ne va unicamente dell’esistenza futura di programmi di diritto pubblico. E per quanto riguarda la SSR, ne va di un’istituzione che, malgrado tutte le critiche, qualche vantaggio può presentarlo. Per esempio perché crea un equilibrio fra le varie regioni linguistiche della Svizzera. Il 70 per cento del canone è infatti incassato nella Svizzera tedesca. Ma solo il 45 per cento resta qui, il resto è trasferito alla Svizzera romanda o al Ticino. Un altro vantaggio è la promozione culturale, in particolare nell’ambito del cinema: grazie al sostegno del canone, ogni anno si finanziano 150 film. E infine, contrariamente agli editori privati, la SSR dispone di un contratto collettivo di lavoro. E ancora oggi costituisce un punto di riferimento per il settore, anche per via dell’alta percentuale di donne fra il suo effettivo.
Ostacolare il futuro
L’iniziativa No Billag ostruisce la vista. I «canoni forzati», riscossi come un’imposta, costituiscono veramente un problema. Ma non per il fatto che li si esige. Bensì per le modalità di riscossione: tutte le economie domestiche ne sono interessate in ugual misura, esattamente come per i premi della cassa malati. È vero che non c’è progressione, ma non c’è neanche una riduzione degli importi.
L’intero dibattito relativo al canone tralascia l’aspetto della pubblicità. Per un palinsesto meno commerciale, la televisione di diritto pubblico farebbe meglio a lasciarla alle case mediatiche private. L’effetto di un divieto della pubblicità lo sentiamo ogni giorno alla radio: visto che non può orientarsi agli interessi commerciali, il giornalismo deve orientarsi ai criteri di qualità.
Ma, e questo è l’elemento fondamentale, l’iniziativa impedisce un dibattito su come il servizio pubblico potrebbe adattarsi all’avanzata della digitalizzazione, su come i media pubblici e privati potrebbero collaborare per gestire il progresso tecnologico.
Sul sito Internet di No Billag un orologio scandisce i secondi, come una bomba ad orologeria. Al momento della pubblicazione di questo articolo restano ancora esattamente 129 giorni per disinnescarla. Chi ancora non riesce a immaginarsi il sistema mediatico che ci aspetterebbe e le sue conseguenze politico-democratiche dovrebbe riflettere un attimo e chiedersi chi sarà in futuro, le domeniche delle votazioni, ad annunciare i risultati. Molto probabilmente un’emittente che appartiene a Christoph Blocher.